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Webdesign: quando il minimalismo diventa "non-existent design"

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La tendenza è ormai da diversi anni inarrestabile, in particolare da quando Apple e Google hanno deciso di sposarne il trend per i loro sistemi operativi mobile. La progettazione minimalista, priva di fronzoli e ridotta all'essenzialità, è immancabile in qualsiasi lavoro grafico dell'ultimo lustro, dalla definizione dell'estetica di un sito web fino alla realizzazione di un'interfaccia per le applicazioni mobile.

Eppure, la rincorsa alla semplicità e all'essenzialità estrema potrebbe non essere sempre un bene, sia dal punto di vista degli utenti che da quello dei produttori, i quali potrebbero fallire nel sponsorizzare il proprio brand o nel proporre i propri servizi. Da tempo, infatti, gli operatori del settore si interrogano sulla differenza tra il minimalismo, comunque sempre auspicabile, e quello che viene definito come "non-existent design”: dei progetti talmente ridotti all'osso da non permettere all'utente di comprenderne utilità, usi e modalità d'interazione. Quale è, di conseguenza, il giusto equilibrio?

Con l'affermarsi dei dispositivi portatili, e dell'universo del Web 2.0, i designer avevano inizialmente deciso di sposare le logiche dello scheumorfismo: una tecnica di progettazione che prevede la riproduzione fedele di un oggetto reale in un ambiente virtuale. Un orientamento dovuto a precise necessità: l'utente si ritrovava a interagire con terminali e ambienti completamente nuovi, la familiarità ne rendeva quindi più immediato l'apprendimento.

Con smartphone e tablet divenuti prodotti di massa non vi è stato più bisogno di istruire l'utente, ormai capace di destreggiarsi negli ecosistemi digitali. Si è tornati quindi a design più essenziali, privi di ombreggiature e riflessi, dove a spiccare sono i font sans serif e l'uso sapiente dei colori, la leggibilità dei testi, l'assenza di pulsanti ingombranti e molto altro. Il tutto per un risultato decisamente più elegante, leggero e gradevole alla vista. Eppure, questa lecita estensione verso il minimalismo ha trovato, nel corso dell'ultimo biennio, delle derive forse fin troppo estreme.

Di conseguenza, ecco i tre ambiti dove il minimalismo diventa imperdonabile errore.

  • Menu criptici: l'ultima tendenza del minimalismo è quella di epurare i classici menu, magari nell'header di una landing page, per preferire invece una presentazione meno ingombrante. A volte, però, l'impeto al cambiamento diventa dannoso. L'esempio meno grave è quello dei cosiddetti "menu hamburger”, ovvero segnalati da un'icona a tre barre orizzontali, che l'utente deve premere per accedere alle voci disponibili. Oltre a richiedere un passaggio in più allo stesso navigatore, non sempre risultano immediati alla vista e, per questo, l'utilizzatore si trova a vagare alla cieca sulla pagina prima di trovare ciò che davvero gli interessa. Negli ultimi mesi, tuttavia, vi è stato un ulteriore peggioramento: in molti hanno deciso di sostituire le voci dei menu con semplici simboli. E nonostante la gran parte degli utenti sappia riconoscere in un punto di domanda cerchiato un menu "aiuto" o delle "faq", come interpretare fiori stilizzati, slash racchiusi in piccoli rettangoli, asterischi e underscore?
  • Font ectoplasma: uno dei grandi meriti del minimalismo è quello di aver riportato in voga non solo i font sans serif, quindi privi di orpelli fastidiosi, ma anche di aver curato maggiormente i testi e il kerning fra i caratteri. Ultimamente, tuttavia, si assiste a un fenomeno di abuso, ovvero la scelta di famiglie di carattere talmente leggere e sottili, da scomparire letteralmente sullo schermo. Vengono chiamati "font ectoplasma", poiché tendono a mescolarsi inutilmente con il colore di sfondo, garantendo leggibilità solo su display ad elevati DPI;
  • Contenuti assenti: se l'essenzialità della progettazione grafica è di certo gradita, così non avviene sul fronte dei contenuti. Una delle tendenze recenti, infatti, è quella di omettere alcune informazioni su prodotti e servizi, quando non obbligatorie ed essenziali, per stimolare curiosità nell'utente, il quale potrebbe essere spinto autonomamente a un'interazione con l'azienda o con il servizio per trovare risposta alle sue domande. In realtà, l'utente tende a passare alla concorrenza quando non trova i dettagli di sua necessità, poiché il web non è di certo fatto di isole: se un sito è parco di informazioni, quello immediatamente successivo sul motore di ricerca tamponerà questa carenza.

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